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E quindi uscimmo a riveder le stelle (B2-C1)

Nelle vostre frequentazioni con gli italiani, conoscenti e sconosciuti, o attraverso la radio, i giornali o la televisione, vi siete mai imbattuti nell’espressione “e quindi uscimmo a riveder le stelle”? Sapete qual è la sua origine, il suo significato e, soprattutto, perché molti italiani la usano nei loro discorsi?

Allora, la paternità della frase è da attribuire a Dante Alighieri, il Sommo Poeta, padre della lingua italiana, che compose questo verso come chiusura dell’ultimo canto dell’Inferno, la prima cantica del suo capolavoro la “Divina Commedia”.

La Divina Commedia

La Divina Commedia, scritta presumibilmente tra il 1304 e il 1321, è un poema diviso in tre parti o tre cantiche: Inferno, Purgatorio e Paradiso, ognuna delle quali è a sua volta composta da 33 canti.

Al suo interno è narrato il viaggio immaginario che Dante avrebbe intrapreso (secondo alcuni studiosi il giorno 25 marzo del 1300) attraverso i tre regni dell’oltretomba, ovvero l’Inferno, regione dell’eterna condanna dei dannati e dei peccatori; il Purgatorio, regione della temporanea purgazione delle anime che non sono ancora pronte per godere della beatitudine divina e che incontreranno solo nel Paradiso, terza e ultima regione, quella dell’eterna felicità e dell’unione con Dio.

Il viaggio letterario di Dante aveva, come era solito per la cultura del suo tempo, un significato allegorico, cioè rappresentava simbolicamente il cammino verso la salvezza morale, etica e spirituale dell’umanità, possibile solo attraverso la redenzione ottenuta con l’espiazione dei propri peccati.

L’Inferno

Come dicevamo prima il viaggio di Dante inizia nell’Inferno, raffigurato come una voragine venutasi a creare quando Lucifero, l’angelo ribelle che ne occupa la parte inferiore (quella più lontana dal Paradiso), venne scaraventato per punizione da Dio sulla terra.

Nel regno di Lucifero si trovane le anime dei peccatori che scontano la propria condanna per la gravità delle colpe commesse in vita e che non avranno mai la possibilità di ricongiungersi con Dio e godere della beatitudine del Paradiso.

Si tratta di un luogo oscuro, terrificante, popolato, oltre che dalle anime dei dannati, anche da diavoli e altre creature demoniache che infliggono loro pene tremende e senza fine. Accompagnato dalla sua guida, Virgilio, Dante lo attraverserà per intero con lo scopo di conoscere direttamente il peccato e le sue conseguenze, sperimentando nel suo animo afflizione, paura e smarrimento (come passo necessario verso la redenzione).

E proprio alla fine di questa prima parte del viaggio, una volta uscito fuori dal Regno dell’Inferno, di nuovo all’aria aperta, Dante esprime il suo sollievo cristallizzato nel verso “E quindi uscimmo a riveder le stelle”.

L’espressione oggi

Ancora oggi noi italiani usiamo questa espressione per esternare il sollievo e la felicità che proviamo dopo aver vissuto e superato un periodo particolarmente difficile e travagliato, dovuto sia a problemi familiari che interpersonali, sentimentali, economici o di lavoro (e studio) intenso.

E c’è addirittura chi di questa espressione ne ha fatto un tatuaggio, come quello della foto che potete vedere sopra!

Pratichiamo!

Hai capito in quali situazioni usiamo questa espressione? Per essere sicuro ti propongo un esercizio. Leggerai cinque affermazioni: per ognuna devi stabilire se è possibile usare l’espressione o no. Andiamo!


Foto di copertina: Matthew Ang