Intervista con Andreu Bosch Rodoreda, professore associato del Dipartimento di Filologia Catalana e professore di Linguistica Descrittiva Catalana presso l’Università di Barcellona. Parliamo della sua esperienza nel Bel Paese, dei segni del catalano in Sardegna e della relazione tra italiano e catalano.
Conobbi Andreu qualche anno fa in occasione di una cena organizzata da un comune amico che spesso mi aveva parlato di lui, descrivendomelo come un buon conoscitore della lingua italiana oltre che professore di catalano e sindaco della città dove tutti e due vivono.
Devo riconoscere che, nelle ore precedenti la cena, dedicai abbastanza tempo a ripassare mentalmente le mie conoscenze di catalano, poco più che basilari (lo sto ancora studiando nel CPNL[1]Consorci per la Normalització Lingüística. ), perché non volevo fare brutta figura con Andreu.
Ogni tipo di tensione, che ben conoscono tutte le persone che studiano una lingua straniera quando sono chiamate a metterla in pratica in una situazione reale di vita quotidiana davanti a uno o più madrelingua, scomparve non appena presi posto al tavolo.
Infatti, non solo conobbi una persona colta, ma anche alla mano ed accogliente (purtroppo non sempre le suddette qualità albergano nella stessa persona) che, fin dall’inizio, mi mise a mio agio raccontandomi innumerevoli storie interessanti con le doti di un navigato oratore, e, addirittura, con mia grande sorpresa, non fu necessario che io pronunciassi neppure una sola parola in catalano: Andreu mi parlò, per tutta la durata della cena, in un italiano impeccabile.
Il lavoro di Andreu lo porta a contatto con il mondo delle lingue in generale, ma la conoscenza della lingua italiana è frutto di una concreta esperienza di vita in Italia. Mi piacerebbe che anche i lettori di questo blog potessero conoscere il mio interlocutore, la sua storia e la relazione speciale che ha con il mio paese e la sua lingua.
Per questo vi lascio alla lettura dell’intervista fatta ad Andreu, durante la quale abbiamo parlato dei segni della lingua catalana in Sardegna e della relazione tra catalano e italiano, buoni “vicini” (per usare le sue stesse parole) nella “comunità” delle lingue romanze.
Prima di iniziare con le domande puoi darci qualche informazione personale? Chi sei e a che cosa ti dedichi?
Sono nato a Teiá nel 1964. Dottore in Filologia Catalana all’Università di Barcellona, mi sono laureato nell’anno 1998. Sono sindaco di Teiá dal 2015 (e lo sono stato anche tra il 2003 e il 2009). Sposato e padre di tre figli, sono fungaiolo e amante delle escursioni in montagna con la bicicletta, soprattutto nel Parc de la Serralada Litoral.
Dall’anno 2000 sono professore associato del Dipartimento di Filologia Catalana e dal 1990 insegno anche nelle scuole superiori. Presso l’Università di Barcellona[2]Nell’anno 2008, con la tesi La interferència dels parlars sards en el català de l’Alguer entre els segles XVII i XVIII. Estudi del lèxic a través dels registres de danys de la … Continue reading impartisco lezioni di Linguistica Descrittiva Catalana, anche nell’ambito del Master di Formaciò de Professorat.
Tra il 2009 e il 2015 sono stato direttore dell’Àrea de Llengua i Universitats dell’InstitutRamon Llull. Sono specializzato nello studio del catalano di Alghero[3]Andreu è autore della raccolta di etnotesti Històries de l’Alguer, entre la marina i campanya (1996) e di studi come Els noms de la fruita a l’Alguer. Edició dels registres … Continue reading e ho curato diverse edizioni dell’opera folklorica di Jacint Verdaguer[4]Tra le quali ricordiamo Rondalles (1992), Totes les rondalles (1995) e Què diuen els ocells. Proses i poesies (2003); Andreu ha anche partecipato alla stesura del volume Prosa (2002) di Totes les … Continue reading e una nuova edizione dell’opera di Jacint Barrera Los aucells de Teià i Masnou (2007), il primo libro di ornitologia moderna in catalano risalente al 1892.
Ho collaborato con diverse riviste scientifiche di linguistica e filologia: in Italia, per esempio, ho partecipato alla stesura del “Bollettino dell’Atlante Linguistico” e della “Rassegna Iberistica” presso l’Univiersità Ca’ Foscari di Venezia.
Parli molto bene in italiano e so che hai avuto relazioni con il mio Paese per diversi anni. Ci puoi parlare della tua esperienza italiana?
Certo. Tra il 1993 e il 1996 sono stato professore a contratto di Lingua e Cultura Catalana presso l’Università di Sassari e anche coordinatore del centro di Risorse Pedagogiche “Maria Montessori” ad Alghero. Come direttore dell’Àrea de Llengua i Universitats dell’InstitutRamon Llul ho avuto relazioni istituzionali e accademiche con diverse università italiane (Sassari, Verona, Roma, Venezia, Trento, Torino e Napoli) in cui ho tenuto conferenze sulla lingua catalana, sull’algherese, sul catalano che si parla ad Alghero e sulla Xarxa Universitària d’Estudis Catalans a l’Exterior[5]Rete Universitaria di Studi sul Catalano all’Estero..
Ho collaborato anche alla stesura del libro“La nazione catalana. Storia, lingua, politica, costituzione nella prospettiva plurinazionale” (Napoli, 2018), con il contributo «Il catalano lingua d’Europa. Dalla normazione al mondo digitale e internet”. L’italiano è la lingua straniera che preferisco, la considero la mia terza lingua, l’adoro. Il mio profilo Instagram è in italiano. Mi piace l’Italia, la Sardegna e Alghero, le considero la mia seconda patria. Il comune di Teiá, dove sono sindaco, dal 2005 è gemellato con Massarosa, un paese vicino Lucca.
Come è nata l’idea di questo gemellaggio?
Tutto cominciò perché, fino al 2004, il comune di Teiá non era gemellato con nessun altro municipio. La Generalitate l’Unione Europea promuovevano, con fondi europei, questo tipo di pratica ed io, come sindaco, ritenni opportuno partecipare. Mi piaceva l’idea di fare un gemellaggio con un comune italiano e, grazie a un torinese che viveva a Teiá, venimmo a sapere che Massarosa cercava, per lo stesso motivo, un municipio catalano con caratteristiche simili a quelle che contraddistinguono il paese di cui ero sindaco: vicino al mare e alla montagna, con parchi naturali e resti archeologici romani nelle vicinanze, con vigne e campi di fiori ornamentali.
Scrissi loro in italiano e fu tutto molto facile: ci furono incontri istituzionali con il sindaco dell’epoca, Fabrizio Larini e formalizzammo il gemellaggio con sedute plenarie, tanto a Massarosa come a Teiá. Quando andammo a Massarosa per firmare i documenti del gemellaggio, portammo con noi anche i nostri Gegants de Teiá, con i quali sfilammo nella Cittadella del Carnevale di Viareggio e nella la frazione medioevale di Gualdo. Le lingue che contraddistinsero le procedure per il gemellaggio furono sempre l’italiano e il catalano: in questo posso affermare di aver fatto scuola!
È possibile affermare che ci sono zone in Italia in cui si parla il catalano?
Solo nella città sarda di Alghero, dal 1354, dopo la conquista ad opera del conte di Barcellona, Pietro d’Aragona, detto il Cerimonioso. Presso la corte del Regno di Sardegna, e a Cagliari (Càller, in catalano, Casteddu, in sardo), si parlava in catalano: ne è testimonianza il perdurare della presenza di alcuni cognomi come Canyells (e le sue varianti) e Aimerich.
Ancora oggi ci sono circa diecimila persone che parlano algherese, anche se bisogna riconoscere che la situazione sociolinguistica è preoccupante perché, nonostante il fatto che il catalano di Alghero sia una delle lingue riconosciute e tutelate dalla legge regionale sulle minoranze linguistiche in Sardegna (al pari del sardo, del sassarese, del gallurese e del genovese dell’Arcipelago del Sulcis) e dalla legge statale “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”, non è più la lingua dei bambini e dei giovani. Per un certo periodo di tempo, sotto il regno di Alfonso il Magnanimo, la corte catalano-aragonese fu spostata a Napoli, per questo si ravvisa la presenza di molti catalanismi all’interno della lingua napoletana che, quindi, ha similitudini, a livello fonetico e lessicale, con il catalano.
C’è molta differenza tra l’algherese, che credo si possa considerare un regionalismo, e il catalano così come lo conosciamo oggi?
Si tratta di una variante dialettale orientale del catalano con una combinazione di elementi lessicali e morfologici arcaici e con una grande interferenza, soprattutto a livello fonetico, del sardo. Per esempio, ancora oggi, si usano quotidianamente i verbi eixir e parèixer (in catalano sortir e semblar; uscire e sembrare in italiano) o espressioni tratte dal mondo della pesca, ben radicate nella Costa Brava e nelle Isole Baleari, come bogamarí (eriçó de mar in catalano; riccio di mare in italiano).
Le influenze lessicali, fonetiche e sintattiche del sardo[6]Su questo argomento è possibile consultare Històries de l’Alguer, entre la marina i la campanya (1996), raccolta di etnotesti scritti in collaborazione con Susanna Sanna, nipote di Josep Sanna, … Continue reading si possono ravvisare in parole come mara, polta, crabra, pescaró (in catalano, rispettivamente, mala, porta, cabra e pescador; in italiano cattiva, porta, capra e pescatore), in espressioni come “fet i l’has?” (in catalano “ho has fet?”; in italiano “l’hai fatto?”) o in forme verbali come teniva, entrende, sigueriva (in catalano tenia, sentir, seria; in italiano aveva, sentire, sarebbe).
Troviamo pure variazioni di significato in parole condivise con il catalano come macu che, in algherese, per influenza del sardo, vuol dire “semplice, pazzo”, mentre da noi significa “bello, carino”. Una curiosità: il dizionario normativo della lingua catalana dell’IEC accoglie due parole che sono esclusivamente algheresi: llumí, molto diffuso, che viene dal sardo (su)luminu (a sua volta derivante dall’antico toscano) e fedal (pronunciato faral) che vuol dire coetani (in italiano, rispettivamente, fiammifero e coetaneo).
Ho sempre pensato che il catalano e l’italiano sono lingue che si somigliano molto. A volte ho addirittura pensato che le similitudini tra l’italiano e il catalano siano più marcate rispetto ad altre lingue romanze.
È vero. Il catalano è una lingua romanza “vicina” del francese, dell’occitano, dell’italiano e anche del sardo. Infatti, nel sardo e nel napoletano, come già detto, possiamo trovare molti catalanismi. Per chi parla il catalano, imparare l’italiano è relativamente facile, soprattutto per quel che riguarda il lessico e la sintassi. A proposito delle similitudini tra le nostre lingue, ricordo di aver parlato di enogastronomia italiana, sarda e catalana e degli aspetti che ci uniscono, nell’ambito del congresso “Lengua, literatura y gastronomía entre Italia y la península Ibérica” presso l’Università di Santiago de Compostela[7]Riqueza onomasiològica de las variedades de uva y de la fruta en Alguer entre los siglos XVII y XIX..
Credo che un’altra similitudine tra l’italiano e il catalano si possa ravvisare anche nell’opinione che alcune persone hanno di queste lingue. Per esempio, dal momento che sono lingue che si parlano solo in alcuni luoghi geograficamente circoscritti, molti arrivano alla conclusione che non valga la pena investire tempo e risorse per impararle (a meno che non si abbia un determinato interesse filologico o si debbano intrattenere relazioni commerciali con i nostri paesi). Quali argomenti useresti per motivare una persona che voglia intraprendere il cammino dell’apprendimento delle nostre lingue?
Le lingue, per quanto “piccole”, hanno sempre una cultura alle loro spalle. Il catalano, che occupa il dodicesimo posto tra le lingue più parlate nell’Unione Europea ed è tra le otto lingue più tradotte[8]Per approfondire: l’articolo “Il catalano lingua d’Europa. Dalla normazione al mondo digitale e ad internet” (La Nazione catalana)., possiede una letteratura molto ricca, dall’epoca medioevale ai nostri giorni. Apprendere una lingua rappresenta la porta d’ingresso alla letteratura e alla cultura del posto in cui questa si parla.
Altrimenti come si spiega il fatto che ci sono 150 università sparse per tutto il mondo in cui si studia la lingua e la cultura catalana, soprattutto negli Stati Uniti, Germania, Italia, Francia e Regno Unito, ma anche in paesi slavi come Ungheria, Russia, Croazia, Serbia e Polonia? E per facilitare la conoscenza del catalano nel mondo, abbiamo sviluppato e messo a disposizione strumenti di apprendimento online come ad esempio il sito web parla.cat. La cultura non è subordinata alla dimensione delle lingue.
Nell’anno 2008, con la tesi La interferència dels parlars sards en el català de l’Alguer entre els segles XVII i XVIII. Estudi del lèxic a través dels registres de danys de la “Barracelleria” (1683-1829) Andreu ha ottenuto il Premi Extraordinari de Doctorat (UB, 2009) e il Premi Francesc de B. Moll de Dialectologia (IEC, 2009). Sempre all’interno dell’Università di Barcellona, è membro del progetto di ricerca Diatopia i canvi lingüístic. Scripta i projecció dialectal.
Andreu è autore della raccolta di etnotesti Històries de l’Alguer, entre la marina i campanya (1996) e di studi come Els noms de la fruita a l’Alguer. Edició dels registres d’estimes de fruita de la “Barracelleria” (1783-1829) (1999), con cui è stato insignito del Premi extraordinari de Llicenciatura (UB, 1998), El català de l’Alguer (2002), El lèxic alguerès de l’agricultura i la ramaderia entre els segles XVII i XVIII (Barcelona: IEC, 2012) e Capítols de la Barranxel·leria i del dret de cabeçatge (l’Alguer, s. XVII i XVIII) (2013).
Tra le quali ricordiamo Rondalles (1992), Totes les rondalles (1995) e Què diuen els ocells. Proses i poesies (2003); Andreu ha anche partecipato alla stesura del volume Prosa (2002) di Totes les obres.
Su questo argomento è possibile consultare Històries de l’Alguer, entre la marina i la campanya (1996), raccolta di etnotesti scritti in collaborazione con Susanna Sanna, nipote di Josep Sanna, autore del Diccionari català de l’Alguer.
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